Intervistato: Ottavio Maccarrone

Editor: Psicologa Giulia Rocchi

Quando ancora ero una studentessa di psicologia, senza nemmeno la laurea triennale, non ho resistito alla tentazione di iscrivermi al famoso gruppo Facebook:  “Diventare psicologo: tutto ciò che si deve davvero sapere!” Devo riconoscere che quel gruppo mi ha davvero aiutato spiegandomi aspetti di cui all’Università nessuno aveva pensato di accennare nulla e ho potuto sentirmi parte di questa comunità.

Comunità di cui fa parte il Dott. Ottavio Maccarone al quale abbiamo chiesto di raccontarci come è stato muovere i primi passi e “diventare psicologo”.

Raccontaci di te:

Sono il dott. Ottavio Maccarrone, ho 26 anni e sono uno psicologo e psicoterapeuta in formazione. Vivo a Roma ormai da 8 anni, sono arrivato qui che avevo appena diciannove anni e un miliardo di fantasie sulla psicologia e la figura dello psicologo. Sono riuscito a laurearmi molto velocemente, con i massimi risultati, ma dentro di me non mi sentivo affatto competente. Tuttavia, grazie all’esperienza delle tesi e tirocini avevo cominciato a capire qualcosa sulla ricerca; ancora oggi collaboro in qualche progetto di ricerca non legato alla mia università di provenienza. Dopo il tirocinio il mio interesse è virato velocemente verso altre tematiche: l’età evolutiva e l’apprendimento. Cominciai a studiare autonomamente attraverso lettura di libri ma poi capii che dovevo fare un corso specializzato. Oggi lavoro principalmente con giovani adulti ed età evolutiva, in particolare con i disturbi specifici dell’apprendimento e ADHD; inoltre frequento una scuola di specializzazione in psicoterapia cognitivo comportamentale, aperta all’integrazione con altri approcci, che offre la possibilità di formarsi per il lavoro con pazienti adulti, adolescenti, bambini, coppie e famiglie.

Come è stato “diventare psicologo”? Quali emozioni e sensazioni hai provato nel passaggio dalla formazione al mondo lavorativo? 

Quando sono diventato psicologo non ho provato una forte emozione, forse sollievo… Dentro di me sentivo già di essere uno psicologo, la grande emozione la provai alla laurea magistrale! L’esame di abilitazione mi distrusse, anche perché la modalità telematica era una sorpresa per tutti, poi, chiaramente sapevo che il mio percorso non era affatto finito lì perchè sognavo di diventare psicoterapeuta.

In pochi sanno che diventare uno psicologo, per come è comunemente inteso, e quindi non psicologo ma psicoterapeuta, in realtà non è un mestiere che possono permettersi tutti. I costi sono alti, sia in termini di tempo che di soldi… 

Il passaggio dalla teoria alla pratica è stato affascinante e ha acceso in me una sete infinità di sapere! Ogni settimana che passa apprendo qualcosa di nuovo, studiando e imparando dai ragazzi e ragazze con cui lavoro. Probabilmente non smetterò mai di apprendere, ho capito che questa è una parte fondamentale di questo lavoro.

Come sei stato accolto dai colleghi? Su cosa pensi sia necessario riflettere come comunità degli psicologi rispetto alla relazione tra colleghi?

Mi sono sempre trovato bene con i colleghi, anche con coloro i quali non condivido le stesse posizioni intellettuali. Tra l’altro con questi ultimi vi sono gli scambi più stimolanti, capaci a volte di arricchire la reciproca posizione. Trovo che sarebbe veramente bello un giorno, ricreare una cosa simile al Talent Garden (creato da Davide Dattoli) ma popolato da professionisti della salute mentale.

In che modo hai vissuto il primo invio? Quali sono state le tue sensazioni quando ti sei ritrovato ad accogliere un paziente per la prima volta?

Il primo invio è stato molto emozionante, ricordo di aver rispolverato un bel po’ di teoria qualche ora prima che avvenisse… è superfluo dire che tutto quello che avevo ripassato, scoprii non aveva nulla a che vedere con il paziente, forse serviva più a me, per farmi sentire più sereno, magari sentendomi più competente. 

In questo lavoro tante volte non ci si sente pronti a fare il primo passo del paziente… ma io mi chiedo, quando si è veramente pronti?? Io direi mai, probabilmente si è pronti quando si è portato a termine il primo colloquio! Quindi il mio consiglio è studiare ma poi buttarsi, perché l’esperienza e le future domande di formazione si basano sulle difficoltà emerse dall’esperienza clinica. 

Come immagini il futuro della professione? E’ possibile immaginare una professione più digitale? Cosa sogni per il tuo lavoro?

In futuro immagino una professione più vicino all’utenza, magari il famoso psicologo di base. Credo che la pandemia ci abbia aperto gli occhi sull’importanza del benessere psicologico. Immagino in un futuro strumenti di autoaiuto digitali che però non vadano a sostituire la figura dello psicologo ma bensì la supportino. Spero che prima o poi, nella nostra società, si generi una maggiore consapevolezza di base su ciò che è la psicologia e sul ruolo dello psicologo (e psicoterapeuta). È anche un po’ la mia missione sui miei canali social!

Forse alla fine è vero che chi di noi diventa psicologo è che un po’ lo era già prima, ma deve imparare a diventarlo. Si tratta di un percorso lungo e che ci mette alla prova ogni giorno, ma è quello che succede quando nella vita si decide di accompagnare le persone nella loro trasformazione.