Molto spesso si commette l’errore di considerare i pazienti psicologici solo come teste vaganti nell’universo ignorandone il corpo. Questo forse perché, come affermato da Winnicot, significa avventurarsi in un racconto di fantascienza.
Il sintomo psicosomatico è in molti casi percepito come “alieno” rispetto alla propria soggettività. Entra nelle nostre vite di sorpresa, la sua origine è difficile da identificare e sembra che le spiegazioni razionali non siano mai abbastanza. Questo perché la psicosomatica è il viaggio alla ricerca del contatto mancante tra sofferenza emotiva inespressa e segno corporeo.
Per parlare di questo viaggio abbiamo intervistato Sara, nome di fantasia, una giovane donna che soffre di dermatite atopica.
Quando hai iniziato a sviluppare i primi sintomi?
Sono nata con la dermatite atopica, i medici nel corso degli anni mi hanno spiegato che fa parte del mio codice genetico, che quindi sono nata con questa malattia e morirò con questa malattia.
Quale è stata la tua reazione?
Quando ero piccola non mi è mai pesato avere la dermatite; non era diffusa come lo è ora che ho quasi 30 anni. Era localizzata in pochi punti del corpo, e non dava parecchio fastidio. Crescendo, probabilmente con lo sviluppo, con un carico emotivo maggiore di stress, ansie, etc con l’aiuto di un sistema immunitario che non funziona benissimo, è rimasta sempre localizzata in pochi punti del corpo (viso, braccia, collo) ma è peggiorata notevolmente fino ad arrivare a dei giorni in cui ero paralizzata a letto per i dolori e sangue che fuoriusciva da tagli fatti di notte a causa del prurito (chiaramente ferite inconsapevoli fatte nel sonno disturbato).
Che tipo di percorso ha fatto per arrivare alla tua diagnosi?
Ho girato tantissimi ospedali in tutta Italia, i migliori centri dermatologici a Roma, Milano e tutti mi hanno detto la stessa ed identica cosa.
Quali tipi di terapie/cure ti sono stati proposti?
Tre anni fa sono stata ricoverata una settimana nel reparto di dermatologia di un ospedale specializzato, e dopo una serie di studi mi avevano detto che potevo sottopormi ad un ciclo di ciclosporina (un immunosoppressore per intenderci): fanno fare questo trattamento a casi estremamente gravi di dermatite, ma io mi sono rifiutata di assumere questo farmaco in quanto i medici mi avevano assicurato che, facendo questo malattia parte del mio codice genetico, questa cura poteva essere provvisoria ed al momento della sua sospensione sarebbe tornato tutto come prima. Allora ho pensato “perché rovinare altri organi quali cuore, fegato, reni, per assumere un farmaco che ora mi fa del “bene” ma che non ha un effetto definitivo”? Così ho preferito evitare. Poi però, due anni fa mi sono messa in contatto con un dermatologo di un altro ospedale da cui sono attualmente in cura, che mi ha dato un farmaco sperimentale che mi ha “cambiato la vita”; sono consapevole (perché me l’hanno detto i medici) che alla sospensione del farmaco la dermatite potrebbe tornare, ma è un farmaco meno invasivo dell’immunosoppressore, e ho voluto provarci. Specifico che, il medico appena mi ha vista, mi aveva consigliato di rivolgermi subito ad uno psicologo perché la dermatite è una malattia psicosomatica, quindi ok nascerci, ma si può controllare ed evitare che peggiori e arrivi nella situazione in cui ero arrivata io.
Come ti sei sentita quando hai ricevuto la diagnosi?
Di merda. Pensare di convivere tutta la vita con una malattia del genere non è facile. Riconosco perfettamente, perché sono una persona coscienziosa, che ci sono malattie mille volte più gravi di questa, però nella sua dimensione è devastante a livello fisico e psicologico.
Quanto senti che la dermatite atopica incida sulle tue relazioni o esperienze?
Incide tantissimo purtroppo, a volte anche inconsapevolmente. Io sono una persona molto forte e ce l’ho fatta, ma riconosco che una persona più debole potrebbe avere gravi difficoltà.
Impatta tantissimo nella qualità della vita, perché causando un fortissimo prurito la notte, capita di svegliarsi e aver dormito sì e no 3-4 ore a notte (e male), ovviamente intaccando il lavoro/lo studio giornaliero.
Nelle relazioni, ci si trova in continuazione davanti persone che ti chiedono “cosa hai in viso?” “Ti senti bene, sei tutta rossa”.
A volte la gente lo fa solo perché si preoccupa, non per cattiveria, ma purtroppo per chi ha questo problema è imbarazzante/umiliante, per una donna secondo me lo è ancora di più. Per non parlare del fatto che io giro da 30 anni con le creme idratanti nella borsa per idratare quando necessario e che in passato dovevo sempre stare attenta a ciò che mangiavo per evitare dei cibi che potessero acutizzare la situazione; insomma bisogna stare attenti a tutto. È una cosa parecchio difficile da gestire, assolutamente non impossibile, ma difficile.
Che tipo di messaggio ti piacerebbe fosse letto da una persona con dermatite acuta?
Che imparare a convivere con questa malattia, è il primo passo verso la guarigione, che l’aiuto di uno psicologo BRAVO può a mio parere aiutare a gestire al meglio il forte accumulo di stress e negatività causato dalla malattia; e che non sono delle macchie o delle screpolature sul viso, sugli occhi, sulle mani, a determinare chi siamo anzi sono la nostra caratteristica.
Vogliamo ringraziare moltissimo Sara per aver condiviso con noi il suo viaggio, un’avventura difficile e impegnativa, ma che le ha anche permesso di capire che i segni del suo corpo non sono alieni, meritano cura e attenzione. Vi auguriamo che il suo esempio possa essere per voi un incoraggiamento verso la conoscenza del vostro universo.