Intervistata: Chantal Cerise IG: La casa del Caregiver
Editor: Psicologa Giulia Rocchi
Nel parlare di diagnosi alle volte, perfino noi psicologi, anche quelli più orientati al considerare il sistema e le relazioni del paziente, spesso non diamo la giusta importanza a chi da quel momento dovrà prendersi cura del nostro paziente quando noi non ci siamo. I caregivers, molto frequentemente i familiari del paziente, si trovano in seguito a una diagnosi ad affrontare un mondo completamente nuovo senza purtroppo avere sempre un’adeguata preparazione medica e psicologica. La nostra intervista di oggi è dedicata all’esperienza di Chantal Cherise che dopo essere diventata, per caso e per scelta, caregiver di sua nonna ha iniziato a formarsi e a sensibilizzare circa questa figura fondamentale nella vita di un paziente.
Quando hai iniziato a essere una caregiver e per quali ragioni?
Ho iniziato ad essere caregiver a maggio del 2015 quando ho cominciato a percepire delle diversità nella vita di mia nonna, inizialmente lo facevo osservando da lontano, poi con il peggiorare della situazione ho preso in mano la situazione e da ottobre 2015 ho iniziato a seguirla fino al giorno in cui ci ha lasciato ad agosto 2019.
Come definiresti questa figura?
Il caregiver è il pianeta che ruota intorno al proprio caro… loro non possono fare a meno di noi e col sennò di poi anche io ho faticato a tornare ad essere “me” dopo che mia nonna ci ha lasciato, perché anche lei era il mio pianeta speciale in quel momento.
Quali ritieni siano le caratteristiche essenziali per essere un buon caregiver?
Non credo esistano caratteristiche, ma sensazioni interne che ti fanno capire che sei proprio tu coloro che hanno scelto… non credo a coloro che dicono “sono obbligato perché ci sono solo io”, c’è sempre un perché del fatto che sei diventato tu caregiver e non qualcuno accanto a voi. In ogni caso credo che essere solari, pazienti, dinamici e pronti a combattere e stravolgere la propria vita sia indispensabile.
Quali sono invece i rischi del mestiere?
Il rischio più grande per il caregiver è non ritrovarsi più alla fine del percorso. Il rischio più grande del seguire i caregiver è quello di non riuscire a costruire loro un porto sicuro dove ormeggiare nelle giornate di tempesta perché hanno sempre paura di disturbare chi li sta aiutando.
Che tipo di pazienti sono quelli di cui ti prendi cura? Che tipo di rapporto nasce con i loro famigliari?
Io mi occupo dei caregiver principalmente, vengo contattata nel momento in cui i loro cari ricevono una diagnosi o cambiano improvvisamente modo di vivere, di parlare, di relazionarsi con gli altri e si isolano. Alcuni caregiver hanno bisogno di capire come sarà il loro futuro è se in casa devono apportare modifiche, altri hanno più bisogno di parlare e di sapere che ci sia qualcuno disponibile a rispondere alle loro domande. In alcuni casi condivido anche il rapporto con la loro persona speciale, do la mia disponibilità a passare dalle 2 alle 4 ore settimanali con il loro caro. Per lasciar loro del tempo libero e in quelle ore gioco, parlo, rido, facciamo esercizi svariati in base alla persona che ho di fronte.
Si tratta di una figura riconosciuta in Italia?
Non esiste una scuola per aiutare i caregiver. Io ho conseguito una laurea triennale in tecniche e scienze psicologiche, poi un master in psicogeriatrica e ho superato l’esame di stato per l’albo B, ma quando ero pronta per partire ho scoperto che caregiver e anziani hanno timore e ansia degli psicologi. Così ho abbandonato per ora quella strada e ho radunato tutte le mie esperienze lavorative, di vita e di scuola e porto a loro tutto questo, non da laureata in scienze e tecniche psicologiche, ma da ex caregiver. Ovviamente consiglio esperti nei momenti in cui mi rendo conto che la situazione esce dal mio sapere. Mi chiamano guida, maestra o professoressa dei caregiver… Mi sono creata un lavoro per aiutare dove non hanno aiutato me anni fa… al domicilio, il luogo dove il caregiver si sente solo. Sono una figura professionale dedicata ai Caregiver, per ora di persone anziane.
Come immagini te stessa svolgere questo lavoro tra 5 anni? Cosa sogni, ti auguri per questa figura professionale?
Io spero di vedere nascere altri colleghi, mi piacerebbe formare delle persone per aiutare i caregiver. Mi piacerebbe dare aiuti hai caregiver attraverso video lezioni su cosa potrebbero o dovranno affrontare, in modo tale che non debbano stravolgere le loro vite o abbandonare tutto perché non sanno cosa accadrà. Spero di arrivare a più persone possibili tra cinque anni, di aiutare caregiver ora non caregiver a svolgere questo compito con più serenità e consapevolezza. Spero che ci si accorga presto che dopo la diagnosi un caregiver si sente solo nel proprio domicilio e non si può aiutare vedendolo ogni 3/6 mesi alle visite dei propri cari e basta. Serve un’equipe di sostegno costante formata da psicologo, assistenti sociali, neurologo, medico di base.
Ci auguriamo che quanto sognato da Chantal si realizzi molto presto e che noi come psicologi possiamo fare la nostra parte per aiutarla e prenderci cura di chi ha bisogno raggiungendoli nel loro mondo.