Il disturbo ossessivo compulsivo (DOC) è probabilmente uno dei disturbi mentali che ha subito maggiore attenzione mediatica. Dalle serie televisive come “Monk” ai programmi di reality tv come “La mia ossessione” e “Malati di pulito” la narrazione dei rituali e delle ossessioni legate a questo disturbo ha letteralmente bucato lo schermo. Se da un lato questo ha permesso al DOC di entrare nella cultura generale dall’altro lato la versione stereotipata di questo disturbo ha preso il sopravvento sulla forte componente emotiva che lo contraddistingue.
Chi soffre di DOC vive in una situazione permanente di terrore dove i rituali descritti dalle serie tv sono un vero e proprio ostacolo nello svolgimento di qualsiasi attività sia lavorativa che sociale. Per contribuire a una sana divulgazione circa questo disturbo abbiamo intervistato Anna che sette anni fa ha iniziato a soffrire di DOC ed ora racconta la sua convivenza con questo disturbo attraverso la sua pagina Instagram.
1. Prima della tua diagnosi cosa conoscevi di questo disturbo?
Sono sincera: assolutamente nulla. Nei giorni che hanno preceduto la diagnosi, da brava ipocondriaca qual ero, andai a cercare esasperatamente su Internet i miei sintomi, con la conseguenza immediata di sentirmi ancor più sopraffatta dall’ansia, non riuscendo a distogliere lo sguardo dallo schermo del cellulare. Mi aggrappavo angosciosamente alla speranza di leggere testimonianze di qualcuno, devastato dai miei stessi pensieri, che fosse riuscito a guarire. Mi sentivo tremendamente sola e, ahimè, “pazza”. Tra i risultati spiccava una sigla: “DOC”. Ma era ancora l’epoca in cui credevo che il Disturbo Ossessivo Compulsivo fosse una caratteristica, un tratto distintivo delle persone eccessivamente ordinate e molto pulite. Dunque, sentivo di non rispecchiarmi in questa descrizione, ho creduto di essere affetta da altro. Però non vi nascondo che, quando il professionista mi ha comunicato che soffrivo di tale disturbo, ho provato comunque un senso di soddisfazione: me l’ero cavata piuttosto bene con le ricerche!
2. In una tua intervista abbiamo letto che hai seguito una terapia farmacologica, cosa hai provato quando ti sono stati proposti dei farmaci? Come pensi ti abbiano aiutato?
Verissimo. Il primo professionista al quale ho deciso di chiedere aiuto, dopo anni inutilmente trascorsi a rimandare il problema, nonostante avessi già notevoli difficoltà a mangiare, bere e dormire, è stato uno psichiatra che, precedentemente, aveva avuto in cura alcuni membri della mia famiglia. La terapia farmacologica si rivelò necessaria: il 12 luglio del 2018 arrivai nello studio del professionista in stato confusionale, tutta tremante, paralizzata dalla paura, con la voce rotta da interminabili pianti a singhiozzi. Temevo che, impazzendo, mi sarei potuta togliere la vita. Sarei bugiarda se vi nascondessi il mio iniziale terrore al sol sentire pronunciare la parola “psicofarmaco”. Mi feci coraggio, la priorità era per me tornare a vivere, desideravo soltanto star bene. La prima volta che ne ho assunto uno, dopo la prescrizione dello psichiatra, ero raggomitolata sulle gambe di mia madre: credevo fermamente che sarei morta, mentre lei mi sussurrava all’orecchio: “Andrà tutto bene…”. Ho una mia personale visione della terapia farmacologica, provo a spiegarla: sei a piedi nudi sulla sabbia, stai per immergerti in acqua ma immediatamente ti blocchi. Vedi dei rifiuti che galleggiano in superficie, provi disgusto e sei sul punto di tornare indietro ed arrenderti. Tuttavia, proprio in quell’istante, ti viene offerto un supporto: è il farmaco. Finalmente riesci a nuotare, la sporcizia è andata via, ti senti libero. Allora provi ad andare sottacqua, sei curioso di scoprire la bellezza del fondale marino. Ma, ahimè, altri rifiuti lo deturpano, sembrano essere incastrati saldamente in profondità. Il farmaco non può più aiutarti, resta in superficie. Tu hai bisogno di scendere giù, negli abissi, ed ecco che arriva in soccorso la psicoterapia. Inizi a scavare, scopri sporcizia che prima non riuscivi a vedere (o, piuttosto, non volevi vedere?), a poco a poco tutto diventa più limpido, cristallino, pulito. Solo adesso sei veramente libero di nuotare.
3. Qual è stato il momento in cui hai capito che per te stava iniziando una fase nuova della vita? Una vera e propria rinascita?
È innegabile che già dopo 20/30 giorni di terapia farmacologica si comincino a vedere i primi miglioramenti, anche piuttosto importanti: io, ad esempio, ho ripreso a mangiare cibi solidi, a dormire con più facilità e ad uscire con meno paura. Tuttavia, personalmente credo che la vera rinascita arrivi in un momento successivo, quando inizi a diventare più consapevole del tuo disturbo, a saperlo ascoltare, accogliere ed accettare come un malessere che ti attraversa e poi va via. Ho sentito che stavo rinascendo, a poco a poco, dopo aver concluso il mio percorso di psicoterapia: l’angoscia lentamente mi abbandonava e comprendevo, finalmente, cosa volesse dire lo psichiatra, durante i nostri primi incontri: “I pensieri ossessivi non andranno mai via. Sarà la paura, generata da quei pensieri, a scomparire”. Ed è proprio così, nel momento in cui il terrore comincia a svanire hai già vinto. Ecco perché sono solita ricollegare la vera rinascita ad un episodio in particolare, avente come protagonisti me e mio padre. Era un pomeriggio d’estate e ci trovavamo su uno dei balconi di casa, a ridere e scherzare come due bambini. Ad un tratto ho provato un impulso pregno di angoscia: temevo di impazzire e di poter fare del male ad una delle persone più importanti della mia vita, proprio mio padre. Ma, dentro di me, qualcosa stava cambiando: pochi, anche se sembrati interminabili, attimi di paura e poi…ho cominciato a ridere di quello sciocco pensiero, ritenendolo ridicolo! Il terrore che ci abbandona, l’ossessione che si ridimensiona e perde di credibilità, per poi svanire nel nulla. Posso dirlo senza alcuna remora: questi ultimi tre anni sono stati i migliori, in assoluto. Tre anni di vera rinascita, tre anni di stabile e reale serenità. Era esattamente questa la vita che ho sempre desiderato!
4. Oggi condividi la tua storia sui social e sei attivista in una Onlus? Qual è il tuo ruolo?
Sì, nel gennaio del 2021, non appena mi sono sentita veramente pronta, senza nessuna forzatura, ho iniziato a raccontare su Facebook, in “Storie di una ragazza DOC”, la mia esperienza con il Disturbo Ossessivo Compulsivo. Avevo pochi, ma fedelissimi, seguaci, principalmente i miei familiari. A poco a poco, senza rendermene conto, i miei racconti hanno iniziato a viaggiare, arrivando lontano, anche a persone che non conoscevo. Ciò che mi rendeva, e tuttora mi rende, felice non sono i “like”, i commenti o le condivisioni, piuttosto il legame empatico che si crea tra me e chi mi legge. Allo stesso modo ho iniziato, in un momento successivo, a raccontare anche su Instagram la mia storia. Poi, nel luglio del 2021, mi è stata offerta l’opportunità di entrare a far parte del meraviglioso team di una Onlus, Progetto Itaca, un’organizzazione no-profit che si occupa di informazione, supporto e riabilitazione delle persone affette da disturbi della Salute Mentale. Sono un’attivista digitale, scrivo post ed articoli riguardanti il Disturbo Ossessivo Compulsivo, sia sui loro social network che sul loro Blog. È per me un onore ed una grande soddisfazione essere volontaria di una Onlus che si occupa di un tema a me molto caro, quello della Salute Mentale. Spero sempre di esserne all’altezza, è un compito molto delicato e richiede particolare attenzione.
5. Cosa sogni di realizzare per aiutare le persone che soffrono di DOC?
Ad essere onesta non ho grandi ambizioni. Certo è che continuerò a scrivere e a raccontare della mia convivenza, oramai pacifica, con un disturbo mentale. Il mio unico sogno è far comprendere a chi soffre, attraverso le parole, che non è solo. Perché ricordo con dolore che, quando stavo male, cercavo disperatamente qualcuno che potesse capirmi, senza peraltro riuscire a trovarlo. Condividere le proprie paure e aprirsi con l’altro è già un grande passo in avanti, normalizzare il malessere psichico, alla stregua di quello fisico, ancora di più. Non arrendetevi e chiedete aiuto, il percorso verso la rinascita è spesso lungo e tortuoso; ma il panorama di cui si può godere, alla fine della strada, è davvero mozzafiato. Una vita straordinaria vi attende, è a un passo da voi, corretele incontro!
Ringraziamo Anna per questa intervista e il bellissimo augurio con cui l’ha conclusa. Dalla nostra parte speriamo che le sue parole vi abbiano offerto del conforto e soprattutto fatto incontrare una compagna di viaggio nel vostro percorso verso la rinascita.
Intervistata: Anna Guerrieri
Editor: Psicologa Giulia Rocchi che trovate sia su Linkedin che su Instagram